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Da cosa nasce l'esigenza di questo volume? Perché i Femminismi?
Si potrebbe partire dalla riattualizzazione su parafrasi di una celebre canzone del femminismo militante degli anni 70: "Noi siamo stufe". In questo caso, però, non si tratta di rimettere in discussione la dominazione maschile nel quotidiano delle casalinghe, ma piuttosto di rivoltarsi al significato, al senso e all'uso mortificato (e corrente) attribuito al femminismo; innanzitutto, dai molti (troppi) dei non addetti ai lavori: circoscritto temporalmente a un periodo cominciato e conclusosi negli anni '70, il femminismo è da costoro generalmente dipinto con dei tratti che, scolpiti in una (a)memoria storica deformata, rimandano alle forme sminuenti e grottesche di un'espressione gridata (se non isterica) e di opposizione virulenta al "maschio", tendenzialmente androfobica o misandrica che dir si voglia.
Non meno fastidioso è l'appiattimento essenzialistico e distorto del femminismo: scarnificato, ridotto ai minimi termini e giocato a suon di slogan da tuttologi opinionisti nei vari talk show, da presentatrici "specialiste" della comunicazione televisiva con milioni di spettatori al seguito (si veda Barbara D'Urso) che liquidano la loro "militanza" in battute da bettola e, finanche, da cantanti e autori[1] di testi in cui la "specificità femminile" si perde nei meandri della facile e non problematizzata questione/equazione donna uguale donna. Una specificità Donna, dunque, conclamata con assurda fatuità e giustificata sulla base di una "natura" femminile di biologica ascendenza che, oltre a spazzare con frivolezza il salutare concetto della diversità tra donne, viene continuamente misurata su una contrapposizione stereotipica all'uomo: Donna dispensatrice di pace contro l'uomo guerriero, sensibilità femminile contro arroganza maschile, romanticismo contro nichilismo, sentimentalismo contro sessualità, educazione contro trivialità, ecc. E queste sono solo alcune delle tante facilonerie costernanti che alimentano i "pensieri" pseudo-femministi, creando disagio e disappunto presso tutti coloro i quali portano con sé la coscienza e la memoria della combattuta e contrastata storie delle donne e conoscono il prezioso apporto politico e culturale del femminismo. La constatazione prima che ne deriva è la leggerezza imperdonabile di chi, proclamandosi femminista senza conoscerne minimamente contorni e sfumature, dimostra di ignorare il fondamento stesso del femminismo: la complessità!
[1] A questo tipo di essenzialismo piatto non sfuggono neanche celebri e stimati cantautori (Gianna Nannini, Giorgio Gaber, Zucchero Fornaciari, Luciano Ligabue, ecc.). Sicuramente, la più conosciuta e emblematica delle canzoni che riflette questa tendenza italiana è Quello che le donne non dicono (1987) di Enrico Ruggeri.
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